Lasciamo la Terra Santa dopo 5 settimane. Siamo stati
qualche giorno a Gerusalemme, al fantastico Hashimi hotel, con la sua terrazza
che domina la città vecchia, poi un mese a Betlemme, in un appartamento con
giardino dove l’uva maturava copiosa in pieno giugno: più ne mangiavamo, più ne
trovavamo. Mai una nuvola, cielo azzurro, caldo secco di giorno e fresco di
notte.
Nei pomeriggi liberi siamo sempre andati da qualche parte:
spesso a Gerusalemme, oppure a Gerico, Hebron, campo profughi di Aida, Tomba di
Rachele, Campo dei Pastori. Poi in giornata al Monastero di San Giorgio, Mar
Morto, Tel Aviv, Ramallah, Nablus, Jenin. Posti biblici, posti mitici. Abbiamo
scoperto che alcune città palestinesi sono molto belle, ma non è scritto da nessuna
parte.
Salutiamo le vie della Città Vecchia di Gerusalemme, le
mille chiese, le tante moschee. Salutiamo i canti gregoriani della chiesa
ortodossa di San Giacomo e quelli cristiani del Santo Sepolcro. Salutiamo
l’urlo del muezzin alle quattro di mattina e i suoni delle campane alle otto.
Salutiamo il silenzio della preghiera e il vocio dei mercati. I panini con le
falafel e l’humus dei ristoranti di fronte alla porta di Damasco. Salutiamo gli
ultraortodossi con le loro lunghe basette arricciate, il passo svelto e lo
sguardo sempre rivolto verso il basso.
Salutiamo i nostri amici palestinesi che ci hanno
coccolato e invitato a prendere il thé, oppure a cenare su terrazze che
dominano la Terra Promessa, giù fino al Mar Morto ed oltre, sulle montagne della
Giordania. Tramonti da cartolina, che ci gustavamo mentre tornavamo a casa a
piedi dopo aver attraversato il Muro, con la spesa tra le mani e un’anguria
sulle spalle.
Salutiamo le suore della casa di riposo San Antonio, tra
cui la fantastica Suor Caterina, di origine giordana, che da 15 anni arriva
ogni giorno in cucina alle 5 di mattina e vi rimane fino a sera. Un abbraccio a
Suor Immacolata, che malgrado i suoi problemi di salute trova la forza di
dispensare parole sagge per tutti, ogni suo discorso diventa un sermone.
Salutiamo le suore del Caritas Baby Hospital, i bambini
ricoverati che strappano il cuore, le loro mamme col velo che li assistono in
silenzio, il Muro che incombe sull’unico ospedale pediatrico della Palestina.
Salutiamo in particolare Suor Gemmalisa, che vende i fantastici ricami fatti
dalle donne palestinesi, in modo che possano guadagnarsi qualcosa e mandare
avanti la famiglia. Lei, ci ha poi accompagnato a pregare lungo il Muro. Una
sfida, una speranza.
Salutiamo anche le suore sudamericane dell’istituto del Verbo Incarnato, dove sono ospitati
decine di bambini con grossi handicap fisici e mentali. La loro dedizione, la
loro pazienza, il loro amore verso quelle creature è esemplare. Ci ricorderemo
sempre le passeggiate pomeridiane verso il Campo dei Pastori, oppure verso la
Basilica della Natività: una carovana di carrozzelle, stampelle e tutori che si
muoveva allegra e sconnessa tra i turisti.
Un saluto particolare lo dedichiamo ai giovani soldati e
alle soldatesse israeliane che sanno distribuire angosce e paure, talvolta con
un sorriso peggiorativo. Ragazzi che dovrebbero pensare a studiare, a sognare,
ad amare, vengono invece mandati a umiliare e a denigrare.
Una gioventù a cui auguriamo di imparare un giorno che gli
uomini sono veramente tutti uguali, con gli stessi sogni, le stesse speranze,
il desiderio di una vita dignitosa e tanta voglia di vivere in pace.
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